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Nocera Terinese, Catanzaro, Italy
insegnante quasi a tempo pieno, amo vivere in campagna pur avendo un'anima cittadina...è una delle mie tante contraddizioni

Lettori fissi

lunedì 13 aprile 2009

A proposito di copyright

Proprio mentre cercavo di riflettere sul tema del diritto d'autore nell'era di Internet, grazie ad un articolo apparso su D di Repubblica l’11 aprile (Giù le mani da quel file, di Giuliano Di Caro), mi sono imbattuta sul pensiero di due esperti che la pensano in modo diametralmente opposto sull’argomento.
Andrew Keen, autore del libro Dilettanti.com, prossimamente in uscita in Italia per De Agostini, ritiene che il web 2.0 abbia spianato la strada alla corruzione della cultura., in quanto è stato permesso a tutti di diventare giornalisti, artisti, scrittori, a scapito del lavoro creativo di coloro che egli definisce “autori veri”, intendendo il Web 2.0 come un semplice contenitore di contenuti trascurabili, gratuiti e prodotti dal basso, anonimi e privi di restrizioni che finiscono con il distruggere l’intero sistema dei media tradizionali.
Sul fronte opposto si pone, invece, Lawrence Lessing, avvocato consigliere di Obama e autore di Free culture, un equilibrio tra anarchia e controllo, contro l’estremismo della proprietà intellettuale, http://www.copyleft-italia.it/pubblicazioni/Lessig-CulturaLibera.pdf, che, definendo il copyright contemporaneo “minimale e flessibile”, al fine di rendere lo sharing il più legale possibile, secondo la riflessione che noi abitiamo un mondo di creatori cui tocca sperimentare insieme nuove forme artistiche, ha creato Creative Commons, http://creativecommons.it/ un set di licenze in parte protette e in parte open, non in competizione con il copyright, ma in grado di integrarlo. Insomma, un copyright flessibile per opere creative, il cui obiettivo è quello di usare “la forza di Internet” per essere creativi, per collaborare, per superare le barriere dello spazio e del tempo. Per ulteriori chiarimenti, consiglio di guardare l’animazione http://www.creativecommons.it/DiventaCreativo
Per capire il nuovo compromesso che coniuga libertà di accesso ai file e tutela dei diritti, si può consultare http://www.spotify.com/en/#top, che consente di avere a disposizione l’accesso gratuito (per ora in Italia sia pagano 9,99 euro al mese, ma presto sarà gratuito anche da noi) a un grande catalogo musicale. Ogni dieci canzoni parte uno spot di venti secondi, i cui proventi vengono distribuiti tra etichette e artisti.
Potrebbe essere una soluzione, no?

giovedì 9 aprile 2009

"Bisogna riconoscere che l'intelligenza è distribuita dovunque c'è umanità, e che questa intelligenza, distribuita dappertutto, può essere valorizzata

La rilettura di alcune interviste fatte a Pierre Levy, alla luce dei miei interessi di oggi, mi ha permesso di fare alcune riflessioni in merito al tema delle connessioni.
In sintesi
- oggi è cambiato il rapporto con il sapere, che non è più un tutto organico controllabile, ma diviene flessibile. Se si resta con la nostalgia di una cultura ben costituita, organica, con la nostalgia di una totalità culturale, non se ne esce. La conoscenza, la cultura, è qualcosa che si sta definitivamente detotalizzando; viviamo in un'epoca in cui una persona, un piccolo gruppo, non può più controllare l'insieme delle conoscenze e farne un tutto organico;
- quindi è necessario imparare a costruire un rapporto con la conoscenza completamente nuovo: pur essendo più difficile, ciò dà molta più libertà all'individuo o al piccolo gruppo;
- da qui l’importanza dell’intelligenza collettiva, che ci porta a riflettere sul gruppo a cui si appartiene e con cui si ha uno scambio più stretto e sul fatto che non si potrà mai sapere tutto e quindi siamo, necessariamente, obbligati a fare appello ad altri, alle conoscenze degli altri, rendendoci partecipi degli scambi di conoscenza e della interazione planetaria; ciò non porta a perdita della realtà, del territorio o del corpo! La perdita, in un certo senso, è nella dissociazione degli spazi gli uni in rapporto agli altri. La verità è che lo spazio fisico non corrisponde più allo spazio economico, allo spazio semantico, allo spazio relazionale.
- Si crea così l’identità collettiva non più fondata su criteri di vicinanza geografica, ma su interazioni che avvengono a partire da temi, idee, passioni. L'identità collettiva esiste dall'inizio dell'umanità nella misura in cui le persone fanno parte di tribù, di clan, di famiglie, di nazioni, di regioni. Quando tutti erano contadini e abitavano in piccoli alloggi, lo spazio fisico, geografico, territoriale era identico allo spazio affettivo: tutti quelli che si potevano conoscere, che si potevano amare, appartenevano al villaggio. Oggi le identità collettive non si fondano più unicamente su criteri di vicinanza geografica, ma nella civiltà dove stiamo per entrare, il territorio principale è quello semantico, cioè la zona di significazione. I 'nodi d'interazione' presenti nella comunicazione in futuro diventeranno i punti di riferimento cardine delle comunità sociali, molto più dell'appartenenza ad un territorio fisico, in quanto esiste un gran numero di spazi: c'è lo spazio fisico e geografico, ma anche quello affettivo, che attraverso la cybercultura permette un avvicinamento delle persone, sia attraverso la comunione di interessi, sia con la condivisione di esperienze e vissuti. È quanto stiamo vivendo in questa nostra esperienza formativa, che ci arricchisce quotidianamente, attraverso una comunicazione fatta di messaggi che ci aiutano a trovare dei riferimenti, a orientarci, ad articolare diversi punti di vista, spesso mettendo da parte le preoccupazioni e i pensieri personali, a vantaggio di una nuova apertura verso l’altro.

sabato 4 aprile 2009

Non può esserci qualcosa che non ci riguarda, perché ciò significa morire

Ho molto apprezzato l’idea di Andreas di scioccare per offrire un messaggio importante, che diviene lezione per tutta la vita. Anche io, che ieri sera ho vissuto l’evento del convegno “in differita”, e per giunta senza premesse a causa del ritardo con cui mi sono collegata all’incontro del venerdì, all’inizio non capivo e mi sono trovata disorientata, perché la situazione, il modello ideale di lezione, di convegno, non rispondeva alle mie attese.
Man man che il convegno procedeva in modo stravagante e bizzarro, con l’entrata in scena di ridicoli personaggi che alteravano visibilmente l’umore del professore, il rapido susseguirsi di situazioni grottesche, mi hanno indotto a riflettere sulla capacità di Andreas e degli altri ragazzi di sapersi mettere in gioco, per rompere le aspettative, per uscire dal solco tracciato della comunicazione formale, creando quell’attesa utile a spianare il terreno per recepire messaggi, magari non esplicitamente detti, ma che possono essere colti quando non siamo distratti o annoiati da una comunicazione fredda e impersonale.
Il nuovo, l’imprevisto, l’inatteso, uniti al clima di ilarità suscitato dalle gag, sono stati lo strumento, l’espediente per comunicare il messaggio che era alla base del Convegno: il famoso ”I care”, inteso come cura empatica, come tensione verso l’altro, come passione per il proprio lavoro, come desiderio di lavorare in squadra, migliorando, attraverso la creatività, la qualità delle relazioni e della comunicazione.